Prologo nel cascinale con ai travi appiccicate penzoloni contorte vanesie e grilliperlatesta
(La Carta persa e impaurita sul tavolo con già la matita e un pennello alle costole attacca con affanno ma decisa il suo parlare):
Tinturellami strapiziòttolami con pennello in setola smaltato (l’odioso in marron che punge l’ài scelto), sfringuella i bordi con delicatessa,
pieguzzami poi deciso e stringi spingi il dito pigioso stridente sulle mie piaghe in pieghe che mai si rispiegheranno: le provette zuppolate di
quella sostanza ch’usi in sì malo modo e spargi sul mio candore primigenio e di stampa, maneggione acerbo, emulo stolto di chi il passo ha
segnato sulla terra e giace secchito oramai dimentico di spaccasimmetrie rompipassato e di dar cazzotti alla storia dell’arte.
Come una goccia d’acqua ad agosto / non ho avuto che il cadere / scrive Filossero de Calpa e tu lo conosci e ti tormenta ripetitone mio.
Un sol quadro tenta con il calor del testone tuo didentro ad esso e tu fuso per lo sforzo, monco pazzo sfatto per il resto dei giorni. Fai accussì
come becero e t’addito, spalmati di silenzio, fidati e presta orecchio ch’io conosco la trafila, l’innumeri traversie del "bianco": di noi fogli fogliuzzi
pezzettini di carta cartoncini telette macchiate sbrodonzolate frottate sgraffiate e tutto Spennellatore per metterci e per mettermi sotto pupille tue e
d’altri per esame scopriopera geniale prima, indi ballonzolarci per posti illuminati con tanti girelloni d’intorno, sempre scudisciati dagl’occhi sgranati
o pesti di questi strascicazampe: tirchi alcuni, storcibocca incontentabili altri e altr’ancora felici di scucir la tasca per gustarci in privato a tùpertù…
(Lo Spennellatore punto sul vivo risponde con voce roca e accerta): Che vai bofonchiando meschina… non hai orecchie per sentire e occhi per vedere
ch’è di mia vita! inespressiva e ingiusta e incauta carta! Non sai forse ch’io m’aggrotiglio m’arrabatto mi sconquasso la ceppa a tuttel’ore?
Ch’io tremo ogni sera di tirar le coia senz’aver prima sonato la mia tromba in questo deserto cotidiano? Ch’io sgrotolo sgroviglio l’aruffii di ’sta storia
massicciata di pezzettini illustri e supercrani che tutto àn detto o fatto? Ch’io riaddipano intramescolo ruffolo in cerca del filo ispiratutto e che trovatolo
stiracchierei per averne un centimetro pemmé?
E tu ballonzola dici di cessar l’inghippo, di sfilacciar la trama di questo errabondare scorciatoie e autostrade in cerca del quadro definitivo! Povera pazza!
Tu dai balta se credi che m’incrini muscoli polpacci e core, che m’intristisca a sentir narrar di tuoi dubbi sull’opra mia:
OGNI SCALA ABBISOGNA DI SCALINI
Di poi se dobbiamo raccontare una bugia a chi arte compra baratta e vende, tu complice sniffata irriguardosa e chiorbona ci godi non poco e ti colgo
pur sempre all’ingiallito passar de’ giorni in canterali, quando non ti tocca di peggio di finir con una bella riproduzione sul groppone del wischi in voga
o peggio ancor di finir a pulir culi al cesso… Quindi ringrazia carta mia bella e cheta!
Claudio Di Scalzo(*), 1979
Testo per la mostra di Antonio Papasso
Alla Galleria 9 Colonne di Trento
29 novembre - 12 dicembre 1979
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